Associazione

Circolo della Cultura del Bello

Sacile

Graziana Migliaccio

Casa di Nonna


Sono davanti al cancello nero con le chiavi in mano ma mi ritrovo ad aprirlo infilando le dita nella serratura come facevamo da ragazzine.

Sorrido, perché basta questo piccolo gesto per farmi ricordare le tante volte in cui quel cancello è stato scavalcato...

Proseguo e, appena spingo il portone per entrare, un odore caldo, forte, familiare, dolcissimo mi raggiunge le narici e mi colpisce dritto al cuore.

Salgo le scale e risento le risate di quando tornavamo a casa all’alba e Nonna era già in cucina a preparare le melanzane ripiene.

Mi fermo sul pianerottolo per far "passare" il ricordo di noi che corriamo a prendere i bottiglioni di vetro mentre la musica alta e i suoni di clacson dall’esterno ci avvertono che “l’uomo dell’acqua è arrivato!”.

Appoggio un dito sul campanello, dove c’è ancora l’etichetta che recita “Cugine Migliaccio” e il suo suono mi ricorda tutte le volte in cui, rincasando a notte fonda, lo abbiamo premuto per sbaglio!

Mi vengono i brividi quando sfioro la catenella della serratura, perché risento la voce di Nonna, nelle sere settembrine, che ci raccomanda di chiudere a chiave il portone.

Entro in casa e il profumo tanto caro, mescolato a quello del mare, diventa più forte.

Accarezzo con gli occhi e le dita qualsiasi dettaglio e tutto mi parla di un tempo meraviglioso, lontano e vicino al tempo stesso.

Entro nella prima stanza, quella dove dormivano i miei genitori, mi fermo a fissare il pavimento e ritrovo la macchia lasciata dal mio smalto “chocolate rose” quella volta in cui la boccetta mi è volata dalle mani ma, complice i colori delle cementine, non se ne è mai accorto nessuno. O almeno credo.

Nel corridoio mi incanto davanti alla carta da parati e mi rivedo in un angolo, con le ginocchia perennemente sbucciate, a giocare con le mie amate pentoline di tutti i colori.

Entro nel bagno blu e azzurro e rido ripensando a mia madre che lavava i panni la notte perché, finalmente, a quell’ora c’era acqua in abbondanza!

Mi sembra che sia ancora pieno di tutti i nostri costumi stesi ad asciugarsi e ancora ci sento cantare e ridere mentre facciamo i turni per lavarci i capelli.

E poi la nostra stanza con il suo lungo specchio che rifletteva la nostra giovinezza e la nostra spensieratezza.

Quella è la stanza dove sono state prese decisioni importanti; quella che ha custodito i nostri segreti; quella dove c’erano sempre tanti letti e un allegro miscuglio di vestiti, essenze e sabbia e dalla quale arrivava continuamente il rumore del phon per i capelli.

Quella è la stanza che ci ha viste diventare donne e che ha suggellato il nostro legame: è la nostra stanza!

Mi gira la testa.

Entro nella stanza in fondo, quella con l’armadio con le ante perennemente mezze aperte, ai cui specchi affidavamo il responso finale dopo ore di preparativi.

All’ultimo momento prima di uscire, dopo esserci scambiate gli abiti e aver approvato reciprocamente le scelte stilistiche, ci specchiavamo lì, anche se in realtà non si vedeva quasi niente, tanto la luce era bassa. Ma ci piaceva quel rituale.

Passo nel secondo appartamento.

Qui rivedo la sala da pranzo, sempre affollata e chiassosa, con il tavolo dei grandi e quello dei piccoli e mio padre che, alla fine dei pasti, annodava il suo tovagliolo a quello di mia madre.

E la cucina dove Zia Bettina e Nonna, ognuna con il proprio ritmo, recitavano il Rosario: l’una con lunghe pause e sospiri e l’altra più veloce e un po’ spazientita.

E intanto preparavano pasta al forno e “vrascioli 'nfasciati”, mentre noi ci abbuffavamo di Cuzzupe e Nutella!

Infine, la stanza di Nonna.

La finestra è aperta e il vento gonfia le tende, facendo entrare il sole. Il pavimento è ancora più blu di quanto lo ricordassi. Il suo letto è lì, dove l’ho vista l’ultima volta.

Sfoglio i suoi diari, leggo le lettere scritte da Nonno al fronte, la guardo sorridere nelle foto da sposina novella, accarezzo la sedia dove posava i vestiti e risento la sua raccomandazione di “non uscire mai senza giacchettino”.

Mi manca il respiro.

Salgo su in terrazza e davanti a me sfilano scene su scene delle mie feste di compleanno: i miei abiti principeschi, la musica, la lista degli invitati, gli imbucati, la torta e una volta anche i carabinieri!

Non riesco a smettere di piangere mentre, barcollando, ridiscendo le scale.

Voci, risate, lacrime, confidenze, scoperte, baci, corse, fragranze si rincorrono e mi accompagnano.

Richiudo il cancello nero, abbracciando un’ultima volta con lo sguardo la scaletta, le finestre, la terrazza, i ricordi.

E vado via.

Ma la verità è che una parte di me è ancora lì dentro.

Dentro casa di Nonna.



Graziana Migliaccio


L’ANGOLO LETTERARIO DEGLI OSPITI

Racconti e poesie

Romana, innamorata della propria città ma profondamente legata alle sue origini del Sud Italia.

Classe 1977.

Maturità classica.

Laureata in Lettere moderne.

Giornalista pubblicista.

Amante della poesia, del bello e delle rose.

Apprezza il vino e i tacchi alti!